Page 14 - GIAMPAOLO TALANI
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che pare vivere in una perenne condizione d’urgenza. L’urgenza di recuperare, con il
rituale della citazione, ciò che è perduto, di farlo rivivere scrivendolo con il linguaggio
indelebile dell’arte. L’urgenza di ottenere una presa totale, includendo le impressioni
tattili e sonore in una sintesi nella quale tutte le percezioni si rimandano l’una all’altra, in
un prorompente crescendo sensoriale. Dall’estatico languore al capriccio fantasioso, dalla
sensibilità malinconica alla parodia, il suo racconto si snoda in una serie di declinazioni
contrastanti e a tratti antitetiche, ma sempre di impronta individuale, sempre vere,
significanti, coinvolgenti, spoglie da ogni movenza artificiosa e di maniera.
Impossibile dargli un posto, accordargli maestri e parentele pittoriche: ogni etichetta,
sebbene in parte indovinata, risulterà sempre restrittiva, o quantomeno travisante della
sua personalità, proprio perché maturata in un clima d’eccezione. In fondo, Talani è
una di quelle personalità che insegna quanto l’individualità, con tutto il suo carico di
contraddizioni ed antinomie sia un sintomo evidente dell’essere artista, con delle zone
d’ombra che rimarranno comunque insondabili ed inesplorate, e dunque impossibili da
riportare sul piano sterilizzato della critica.
Lontani dunque dal voler confezionare una qualsiasi ipotesi di completezza, cogliamo
l’occasione di questa mostra antologica per aprire nuove prospettive di studio e di
interpretazione dell’opera di Talani; seguendo idealmente lo spoglio dei petali della sua
rosa e cogliendo le aperture verso la dimensione del suono, della musicalità generata dal
visivo, e viceversa. Che è invero una componente primaria dell’arte di Talani fin dal suo
esordio: nella genesi di ogni opera, credo che egli interpreti il bianco della tela come
un campo da gremire di notazioni musicali, come una partitura. Del musicista conserva
il gesto, la liricità della mano che sfiora lo strumento, e quella straordinaria capacità di
improvvisazione, di repentine alternanze di ritmo capaci di esplorare le relazioni della
percezione, che rendono possibile il rimando ad una forma come ad un colore, a un odore
o ad un sapore.
Un vocabolario complesso dunque, cresciuto lentamente fino a formulare un’articolazione
di simboli e strutture, finalmente esaminabile nella sua evoluzione temporale, i lavori
più recenti messi in relazione con l’intero corpo d’opera, a scoprire nuovi allineamenti,
nuove analogie, nuove possibilità di interpretazione.
* * *
Nel guardare in retrospettiva lo sviluppo dell’opera di Giampaolo Talani, il primo nucleo
di lavori che si impone per forza ed autonomia espressiva è la serie di quadri raccolti sotto
il titolo Storie del Marinaio, databile al principio degli anni Novanta. Superata la prima
sintesi di impronta espressionista – memore degli studi condotti all’Accademia fiorentina
– inizia in questo giro di anni a profilarsi il primo stadio dello sviluppo di una propria
strategia pittorica, di uno stile inconfondibilmente personale. La battigia marina, intesa
come custode di esperienze ed avventure umane, diviene il punto di partenza per Talani,
il suo modello, la totalità della sua esperienza visiva.
I marinai assumono le vesti di icone dell’umanità: la forma è volutamente semplificata
e monumentale, i volti sempre riconducibili ad un’unica fisionomia (nella quale non
possiamo non ravvisare la somiglianza con quella del pittore stesso), la posa statica e
saldata in una resa frontale, il tempo della scena congelato.
A sottolineare l’impronta iconica dei suoi personaggi, Talani li toglie dalla riva del mare e
li trasporta in un’atmosfera da interno, pur conservando nel fondale il turchese del cielo e
la luce radente dell’aria aperta. Colpisce, in questi ritratti di marinai, l’uso del parapetto
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