Page 11 - PAOLO STACCIOLI
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accattivante repertorio iconografico, ed affiorare così in un soggetto che porta con sé, inevitabilmente, il peso
un impianto narrativo onirico: nascono così le colonne schiacciante di un’antichissima tradizione iconografica,
tuscaniche scalate da puttini alati, plinti sormontati da che parrebbe, a tutta prima, inconciliabile con la
cavalli, timpani ed architravi a rilievo che fluttuano negli sensibilità dell’artista contemporaneo.
spazi di placche in terracotta, assortendo un’improvvisata Ma, mentre per Marino il cavallo (ed il cavaliere al
acropoli. Tutto sorretto dalla sua nota cifra lirica, che quale è sempre congiunto), rimane una figura tragica,
gli permette ormai, con mano sicura, di convertire il interpretata come sostituto del dramma dell’umanità,
caotico agitarsi delle tessere di questi bizzarri “mosaici” fino al crollo finale, alla catastrofe dalla quale sono
di sculturine in terracotta, in un ritmo armonico; ciò che sopraffatti uomo ed animale, per Staccioli il cavallo
conta, ancora, è giocare sulla frantumazione e sull’ironia, rimane sempre incarnazione del sereno – sebbene
assecondando un’imprevedibile felicità espressiva, che sovente pigmentato di struggente malinconia - vincolo
salta, come danzando, da un piano all’altro del rilievo. sentimentale alle sue origini.
E proprio in questo sentimento è racchiuso l’alto grado
Ma è con la modellazione dei primi cavalli e dei del potenziale di trasmissione dell’opera di Staccioli,
guerrieri, che riconosciamo il tentativo pienamente che scopre, nel momento in cui sceglie la scultura come
autonomo di aprirsi una via d’accesso verso nuove mezzo espressivo privilegiato, di voler, sempre seguendo
basi di rappresentazione, sostenuto nel pensiero l’indicazione di Bojani, “risalire alle origini etrusche, di
dall’immaginazione e dalla conoscenza della forza della riacquisirle, di comprenderle e ribadirle”. Quanto mai
materia. lontano da ogni teoria revisionistica della storia e del
Il cavallo, abbiamo visto, incarna nell’immaginario di suo ricavato moderno, Staccioli guarda ai suoi antenati
Staccioli, il legame con la storia, sia questa familiare, come un potenziale inestinguibile di suggestioni, come
che relativa ad una tradizione iconografica avviata con una fonte straordinaria di eterni sentimenti umani. Ed
il racconto pittorico di Paolo Uccello. La traduzione in questo si, è certo vicino a Marino, allorché dichiarava
plastica rimane fedele all’iconografia già sperimentata “Vedo in me un figlio degli Etruschi ... Gli Etruschi erano
in pittura – i prototipi sono ripetuti a dimostrazione un popolo strano, semplice e raffinato allo stesso tempo.
che non vi è nessuna dissociazione, ma un meditato Le loro figure sorridono ironiche, ma questa ironia
sodalizio di due mondi che, naturalmente, confluiscono significa intelligenza e fantasia, fornisce una verità nella
in un unico pensiero – ma è indice di un nuovo processo, verità ... Gli Etruschi mi riguardano profondamente,
che muove dall’intenzione di materializzare – o meglio, perché l’Etrusco è una natura primitiva. Una vera
rendere monumentale – il repertorio iconografico caro natura primitiva ha dentro di sé tanto calore umano
al suo immaginario. Non è a caso che Staccioli sceglie, per continuare a vivere di vita propria e per svilupparsi
per la sua prima commissione pubblica, di modellare un attraverso i secoli”.
enorme cavallo in bronzo, cavalcato da un putto alato, La storia, così come viene concepita da Staccioli,
per il parco di Poggio Valicaia, nei dintorni di Scandicci. non conosce né avanzamenti né declini; egli riesce
Una scultura di grandi dimensioni, dove il richiamo al garbatamente a ribadire, con disincanto, il suo essere
geometrismo di Paolo Uccello è quanto mai evidente, – forse inconsapevolmente – figlio di quella stagione
bilanciato nella zona inferiore da una sbozzatura che vide, nella Toscana del primo dopoguerra, il
lasciata brulla, dai contorni appena sgrezzati, a creare rifiorire di studi ed interesse per la statuaria etrusca.
un suggestivo effetto di non finito. Egli è dunque vicino non solo a Marino Marini, ma
“Ci vuole gran coraggio”, scrive Gian Carlo Bojani, “ad anche ad Arturo Martini, a Libero Andreotti, Italo
affrontare per l’ennesima, infinita volta, l’iconografia Griselli, Quinto Martini, Oscar Gallo, ed a quanti
del cavallo”, riconoscendo in Paolo Staccioli una altri sentirono, nell’umana ruvidità e schiettezza della
significativa ambizione, “quella d’inseguire un mondo plastica etrusca, così modernamente lontana da ricerche
antico, il sogno dell’antichità, dei frammenti di una idealizzanti, un corrispettivo con il sentimento estetico
civilizzazione cui vuole risalire per accenno di sogni contemporaneo.
pittorici e plastici”. E, se l’immediata analogia con la L’affermazione di Ranuccio Bianchi Bandinelli,
ricerca sul tema del cavallo di Marino Marini appare, secondo la quale nell’immaginario degli scultori
in qualche modo, plausibile, lo è proprio in questo toscani dell’epoca l’Apollo di Veio trionfava non
coraggioso, ennesimo tentativo di dare nuova vita ad a torto sull’Apollo del Belvedere, è sufficiente per
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