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FABIO DE POLI
libertà in questo senso. Inoltre
permette il trasferimento dall’idea
che mi sono fatto all’immagine
con immediatezza ed efficacia
l’idea che mi sono fatto. Il collage
accorcia i normali tempi artistici,
anche perché ha una tavolozza di
colori già pronta, o che comunque
non stabilisco io. Amo vedere il
prima possibile il risultato delle
mie idee, anche se poi il risultato
di perfezionamento, di cromia, di
linguaggio, continua”.
Può farci una panoramica del
panorama artistico italiano
attuale?
“Questo è un argomento che mi
preoccupa assai. Non si tratta solo
del panorama artistico italiano,
ma anche di quello mondiale. Non
mi pare ci sia più un riferimento
estetico, né tanto meno culturale,
ma solo un “ripalleggiamento” di
24 ciò che abbiamo già visto. Quello
che producono i nuovi artisti mi
sembra tutto già sperimentato;
per non parlare delle così dette
“avanguardie” dei paesi emergenti,
che a mio avviso propongono
novità che in occidente sono
ormai superate. Vedo solo una
riproposizione di transavanguardia
o arte povera: secondo me c’è
bisogno di guardare a qualcosa
oltre. Mi ha molto colpito l’apertura
del memoriale di Ground Zero,
dove sono stati raccolti oggetti
trovati fra le macerie dell’11
settembre. Fra le tante cose, mi è
saltato all’occhio un telefono, un
rottame semi-liquefatto, ingrigito
dalla polvere, dilatato. Ho pensato
che quella era arte pura. Un
relitto di contemporaneità che è
addirittura oltre alla Pop Art. Quel
memoriale presenta oggetti, ormai
consegnati alla storia, che parlano
un linguaggio più moderno, più
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